La settimana scorsa, proprio nei giorni in cui ero occupata a traslocare*, la comunità traduttiva italiana è stata scossa a mo’ di scontro di faglie da un post**. Anche se, forse, alla luce di quel che è successo, la parola “comunità” non è proprio quella corretta…
L’autore del post in questione è un traduttore e formatore, ben noto nella suddetta comunità, che sul suo blog ha citato tre collegh*, senza farne i nomi ma con modalità tali da renderl* molto facilmente riconoscibil*. O, almeno, così la penso io, che tra parentesi non sono nemmeno così addentro ai pettegolezzmeccanismi della comunità di cui sopra; c’è anche mi ha scritto di aver ricevuto richieste infoiate di gente disponibile a vendersi la progenitura pur di sapere esattamente di chi si stava parlando (!). Mettiamola così: partendo da una frequentazione davvero minima di collegh* e relativi gruppi sul Web (social, blog etc.), almeno una delle persone citate era impossibile da non individuare.
Insomma, si facevano i nomi senza fare i nomi.
Per dire cosa, chiederanno * mi* piccol* lettor*?
Per sottolineare come quest* tre collegh* avessero commesso errori marchiani nella propria strategia professionale; e per trarre alcune conclusioni sull’andamento del nostro settore, in particolare su certe tendenze attualmente molto ben evidenti al suo interno. Di una ho parlato anche io qui: è quella del proliferare di corsi, corsetti, corsettini e corsucci per professionist* alle prime armi ma anche no. Di qualità e anche no. Tenuti da format* competenti e anche no.
Nel merito non entro, perché quel che penso l’ho già detto nel post che ho appena citato. Io stessa sto iniziando a muovere i primi passi in questo ambito senza avere competenze didattiche formali; e alcune delle conclusioni del collega mi hanno sicuramente colpita e indotta a un bell’esame di coscienza.
In generale, quelle conclusioni le condivido (quasi) in toto: insomma, di questo post diventato ben presto famigerato condivido di sicuro la sostanza. Un po’ meno la forma, perché penso equivalga a volere la botte piena e la moglie ubriaca (tanto per usare una formula non proprio rispettosa del genere femminile…); dove la botte è piena di engagement, visite al blog, visibilità e anche, perché no, pubblici attestati di stima, che varranno quel che varranno ma fanno sempre piacere (anche se vengono sempre un po’ dalle stesse persone); e la moglie ubriaca è, o voleva essere evidentemente, l’assenza di critiche e di reazioni negative; anche molto negative, anzi diciamo pure che, in alcuni casi, si è non sfiorato, ma palpato a due mani il ridicolo, arrivando a estremi che francamente mi hanno lasciato basita, e che a loro volta hanno generato reazioni che etc.etc., in un grazioso circolo vizioso senza esclusione di colpi. Chi l’avrebbe detto che sotto la superficie del sonnolento mondo della traduzione covasse tanta energia (e tanto veleno)? (io l’avrei detto di sicuro – nda)
Tutta questa lunghissima premessa mi serve per dire cosa?
Per anni e anni e anni e anni ho vissuto in beato isolamento tenendomi volutamente alla larga da* collegh* che, dai pochi contatti avuti in rete e fatte salve rarissime eccezioni, mi davano l’impressione di essere tutt* una manica di vecchie zie costantemente impegnate a mantenere la facciata (de* professionist*, di quell* che non fanno dumping, di quell* sempre pront* a dare una mano…), per poi fare le peggio porcherie a porte chiuse.
Ho visto ripetersi pari pari alcune di queste porcherdinamiche la settimana scorsa. E ho pensato “Ne vale la pena?”.
La risposta ha stupito anche me, ed è sì.
E allora eccovi non le storie tristi, gli errori (che comunque possiamo commettere tutti), i casi estremi di scarsa professionalità e le piccole e grandi piccinerie; ma le persone, e le situazioni, che mi hanno convinta che uscire dal beato isolamento vale la pena. Brevi storie felici dal mondo della traduzione, appunto (in ordine rigorosamente sparso).
Ma senza fare nomi, perché alcun* di quest* collegh* hanno una reputazione di cattiv* da difendere, e non vorrei che se la prendessero… 🙂
Con Collega A ci conosciamo per caso su Facebook, ci vediamo a una giornata SDL, mi raccomanda come formatrice a tutto l’universo noto e sconosciuto, mi appioppa l’appellativo di “Nostra Signora dei CAT”. Ci rivediamo. Diventiamo amiche. A volte tagliamo pure qualche colletto 😉
Collega B, dopo aver ricevuto la raccomandazione di Collega A, segue un corso con me, canta le mie lodi su una newsletter di categoria, e non paga mi raccomanda pure a un (ottimo) cliente che l’ha contattata personalmente, “perché sì, io potrei farlo, ma tu sei sicuramente più competente di me”
Collega C mi contatta per avere informazioni su un CAT che un suo cliente richiede per un progetto di localizzazione; dopo esserci parlate, si rende conto che la localizzazione non è pane per i suoi denti, almeno al momento e che fa? Non solo passa il mio nominativo al cliente (“io non ci avevo mica pensato, ma perché non te ne occupi tu? Mi sembra l’ideale!”), ma mi manda perfino la sua TM per aiutarmi con la terminologia (!!)
Collega D, iscritta al mio stesso corso in università, senza sapere manco chi sono accetta gentilmente di farmi da navigatore. Finiamo per condividere per mesi un banco, e non solo; l’idea di questo post è nata da una conversazione con lei!
E poi naturalmente c’è Collega E con cui, insieme a Collega A, da mesi condividiamo una chat su Messenger, e scleri vari (non sempre e non necessariamente legati al lavoro). Collega F che quando deve tradurre anche una sola riga di legale mi contatta e paga la mia tariffa (alta? giusta? sta di fatto che non batte nemmeno ciglio) alla consegna. Collega G che, senza e molto prima di conoscermi “dal vero”, è sempre stata la gentilezza fatta persona. Collega H che non mi ha mai vista ma mi manda gli auguri di compleanno (auguri veri, non le robe in serie alla Facebook) e mi invita ai raduni semicarbonari di colleghi ultraselezionati ;). Collega I che insiste per pagarmi in anticipo.
Potrei continuare a lungo, e sicuramente ho dimenticato qualcun*.
A tutt* loro il mio grazie; a loro, e anche agli altri, l’invito a combattere le storie tristi con le loro personali storie di #colleganzafelice (che a volte, se va proprio bene ma bene, diventa perfino amicizia), magari scrivendoci a loro volta un post. Sì, lo so, è estate, ci sono 40°, siamo tutt* in vacanza, l’engagement cala ai minimi storici come la pressione. Ma in fondo… chissene.
Godetevi le vacanze, io me ne sto qui a fare la guardia ai dizionari anche per voi 😉
* non ditemi nulla: sono ancora lievemente sotto shock, ma mi sto pian piano riprendendo
** no che non ve lo metto il link – non ci penso nemmeno 😉