Il dumping, tecnicamente, è “una procedura di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero (mercato di importazione) ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita (o, addirittura, a quello di produzione) del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione)”. Parlando di dumping nel settore della traduzione (come in molte altre professioni creative), però, si fa riferimento al fatto di praticare tariffe “fuori mercato”.
Dumping e traduzione: parliamo di tariffe
Potrei dire, come spesso si fa in questi casi, che è impossibile dire cosa significhi “fuori mercato”, perché “dipende”: dal mercato, dall’esperienza di chi offre il servizio, dal tipo di cliente e da mille altri elementi.
Ma se non vogliamo nasconderci dietro un dito, una risposta c’è, ed è quasi ovvia.
“Fuori mercato” è la tariffa che non permette di vivere dignitosamente del lavoro che faccio. Tasse incluse, ovviamente.
L’ultima precisazione è, purtroppo, d’obbligo, in un paese dove l’evasione fiscale è la regola e pagare le tasse è considerato a) da cretini e b) un indegno impedimento all’attività imprenditoriale, anziché un dovere civico da assolvere per far funzionare servizi pubblici di cui poi anche chi evade usufruisce senza vergogna (e magari lamentandosi pure). Cosette come la sanità, tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente.
A parte questo, comunque, il calcolo è semplice:
la mia tariffa a parola, moltiplicata per la mia produttività giornaliera, moltiplicata per il numero giorni in cui voglio/posso lavorare in un anno, sottratte le (famose) tasse
Quindi, ad esempio, partendo da una tariffa di cinque centesimi di euro a parola (diciamo per tradurre EN>IT in Italia):
0,05€*4000 parole/giorno +5 gg/la settimana * 48 settimane l’anno
=
48.000 euro lordi
Per capirci molto bene, visto che quando si parla di tariffe le penne si arruffano facilmente (!): la tariffa sopra per me non è (neanche lontanamente) adeguata ai servizi che offro; e in generale, sempre per me, non è adeguata a un servizio di traduzione professionale. Ma, realisticamente, è una tariffa che tantissime agenzie, in Italia e all’estero, ormai fanno fatica a pagare, e che molte persone, nuovi arrivi nel settore ma non solo, considerano già elevata.
E non è il solo motivo per cui il calcolo sopra è decisamente ottimistico:
- 4000 parole è una produttività che può essere risibile in alcuni casi ma utopistica in altri
- Il calcolo sopra presume di avere lavoro in modo continuativo e di riuscire a ottenere sempre mediamente quella tariffa
- E presume anche di stare ragionevolmente bene, e di non prendersi troppe ferie: le quattro settimane che ho sottratto al totale sono chiaramente una cifra del tutto arbitraria, che può corrispondere a 2 (misere, vogliamo dirlo?) settimane di ferie + 2 di inattività dovuta ad altri motivi (di salute, famigliari, personali), oppure a 4 settimane di ferie piene (pensate che lusso…).
A questo totale, già sbagliato per eccesso, almeno in Italia va sottratto come minimo (e sottolineo come minimo) un 30% di tasse e contributi: diciamo 14.000 euro per arrotondare.
Arriviamo a 34.000 euro annui, circa 2800 euro al mese.
EDIT: mi fanno giustamente notare su Linkedin che sono stata davvero troppo ottimista, perché non ho esplicitato spese per l’attività e contributi INPS, e che sarebbe più realistico sottrarre alla cifra sopra una percentuale del 45%, per tenere conto di entrambi questi fattori.
In questo modo arriviamo a un totale “netto” di 27000 euro circa (48000-14000), pari a circa 2250 euro al mese.
Resta comunque difficile fare dei conteggi precisi, visto che le spese possono variare molto, da persona a persona e anche di anno in anno; che per alcun* saranno detraibili/deducibili, ma con aliquote ovviamente variabili, e per altr* (chi è in regime forfettario ad esempio no); e che l’aliquota INPS potrebbe variare per chi, ad esempio, svolge anche attività in diritto d’autore, oppure lavora anche come dipendente.
La percentuale indicata, comunque, è sicuramente realistica, e forse rimane addirittura ottimistica.
Si vive dignitosamente con 2800/2250 euro al mese, tutto compreso?
Non mi permetto di rispondere, perché qui sì entrano in gioco mille distinguo, e “vivere dignitosamente” può significare cose diverse a seconda di chi-dove-come. Ma sottolineo di nuovo che per ottenere questa cifra ho lavorato a tempo pieno 48 settimane l’anno, e in buona sintesi sono stata molto ma molto fortunata.
Si può fare di meglio di 5 centesimi a parola? Certo che sì. Ma si può fare anche molto di peggio. E si può anche stare male, dover assistere qualcuno che sta male, incrociare un cliente che non ti paga, o avere altri problemi.
Anche nella traduzione, c’è dumping e dumping
Possiamo quindi dire che fa dumping nel settore della traduzione chi “fa molto ma molto di peggio”: chiede o accetta, magari, 2 o 3 centesimi a parola (rifatevi il calcolo sopra partendo da questa tariffa: a me manca il coraggio), ed evidentemente non fa ferie, viaggia nel tempo, sta sempre bene e si mantiene perfettamente in forma non avendo la pretesa di mangiare proprio proprio tre volte al giorno? Intanto, facciamo una distinzione che secondo me è importante.
Ho la presunzione di pensare che il dumping della persona neolaureata, priva o quasi di esperienza, o di chi traduce come secondo o terzo lavoro “per arrotondare”, non sia direttamente un mio problema: queste categorie lavorano in segmenti del mercato completamente diversi dal mio, e quindi non mi fanno direttamente concorrenza. Se dopo oltre 20 anni di attività le cose non stessero così, il problema non sarebbero loro: sarei io.
D’altro lato, sicuramente queste persone mi provocano un danno indiretto, perché contribuiscono a svilire la professione, facendo passare il messaggio che tradurre è un “lavoretto” che quasi chiunque può svolgere senza grandi difficoltà. Ma questo è inevitabile e vale per molte altre professioni creative; non posso farci nulla, se non cercare nel mio piccolo di proiettare un’immagine il più possibile seria e professionale. Sono convinta che questa sia l’unica forma di “educazione del cliente” che abbia veramente senso.
Diverso è il discorso del dumping praticato da chi già lavora nel settore, con esperienza e capacità, e sa bene quello che fa. Nel senso che, probabilmente, compensa con una produttività molto più elevata della media tariffe meno elevate di quelle che potrebbe chiedere in base alle sue competenze, ma che gli o le assicurano più lavoro, e presumibilmente anche meno sbattimenti (clienti agenzie anziché clienti diretti, meno sforzi di marketing, magari meno pretese a livello di qualità…).
Non vi nascondo che anche io potrei percorrere quella strada, data la produttività oggettivamente davvero alta che con il tempo sono arrivata ad avere. Non vi nascondo nemmeno che a volte, conti alla mano, mi dico che forse sbaglio a non farlo.
Penso ai tanti clienti storici che mi garantivano volumi elevati e che ho abbandonato a causa di tariffe diventate progressivamente sempre più basse; e ai tantissimi clienti potenziali con cui la collaborazione non è mai partita per lo stesso motivo. Penso alla fatica per trovare e per seguire strade diverse che compensino, senza necessariamente riuscire a compensare del tutto.
Poi mi ricordo come si lavora quando si lavora in quel modo, e per quel tipo di cliente; mi ricordo del fatto che il compromesso sulla tariffa è solo il primo di una lunghissima serie. Che non passa molto prima di ritrovarsi (io, almeno) a iniziare la giornata domandandosi “chi me lo fa fare?”, anziché ringraziando la buona stella che mi ha permesso di fare un lavoro che amo. E allora tiro il fiato, tiro anche una bella riga, e continuo per la mia strada.
Ma tornando a noi (!): il dumping nel settore della traduzione è, in entrambi i casi, un fenomeno che ovviamente la crisi, il COVID e tutto il resto hanno amplificato, e che in un mercato libero non si potrà mai eliminare del tutto.
E allora che si fa contro il dumping nella traduzione?
Volendo condividere alcune riflessioni fatte spesso in questi anni, mi viene da dire prima di tutto (e questo vale per qualsiasi lavoratore o lavoratrice della conoscenza) che applicando tariffe sotto un certo minimo si finisce per estromettersi dal mercato da soli; dovendo compensare con la quantità, non si riesce a fornire una qualità adeguata e/o a effettuare anche gli investimenti minimi necessari per restare al passo.
E vi posso garantire che chi compra i nostri servizi non sarà molto sensibile alla giustificazione “Con quel che paghi questo è il massimo che puoi aspettarti”.
E/o si va in burnout. E/o ci si rende conto che, per quanto si lavori tantissimo, a vivere dignitosamente con certe tariffe non si riesce proprio.
Quello che io posso fare per essere competitiva rispetto a chi fa dumping (in alternativa a ridurre le tariffe in modo selvaggio a mia volta), è creare valore aggiunto per chi compra i miei servizi.
Non smettere mai di specializzarmi, di formarmi e di imparare; sfruttare la tecnologia per differenziarmi* e per aumentare la produttività e la qualità del mio lavoro; propormi come una consulente affidabile e come una collaboratrice “alla pari”: e non come un poveretta in attesa solo di raccogliere le parole-briciola che cascano dal tavolo, non importa a quali condizioni.
Diventare la risorsa che risolve i problemi, o che addirittura propone soluzioni a problemi che ancora non si sono posti, anziché la risorsa che conosce un unico modo di lavorare, sempre quello da decenni, si rifiuta di cambiare e, se è richiesto qualcosa di diverso, ha come unica reazione quella di mettersi a battere la testa contro la scrivania (o di inveire contro le “pretese dei clienti di oggi”).
Tutto questo naturalmente non significa adeguarmi a tutte le richieste, per quanto assurde, anzi: l’obiettivo è (anche) acquisire un’autorevolezza sufficiente a far sì che il cliente o la cliente si fidi della mia opinione, nel momento in cui faccio presente che il “suo modo” non è quello più adatto. Che non significa “adatto” a me, ma “adatto” a ottenere il miglior risultato possibile per le sue esigenze.
Chiudo con un post illuminante sul tema, dal blog di Seth Godin:
“Will they switch for cheaper?”
“… When your product or your service doesn’t measure up, the answer probably isn’t to lower your price or offer a refund to the disappointed customer. Instead, the alternative is to invest in making it better.”
E voi, che ne pensate?
* Sull’argomento “sfruttare la tecnologia come fattore di differenziazione” vi rimando in generale al mio podcast, perché è argomento di cui ho parlato o al quale ho accennato in varie puntate, e in particolare: