I ferri del mestiere

Sondaggio sugli strumenti CAT

Ho voluto svolgere un piccolo sondaggio sugli strumenti CAT, e la formazione relativa, perché rappresentano per me un argomento importante, e molto interessante; ma i dati al riguardo scarseggiano, e quindi ho pensato di… andarmeli a cercare.

Per cominciare, un grande grazie a tutt* coloro che hanno partecipato. Il campione non è enorme (176 risposte), ma sufficiente secondo me a offrirci un bel quadro.

Ecco il report completo dei risultati di questo sondaggio sui CAT

Di seguito, qualche commento.

A fare la parte del leone tra * partecipanti sono tradutt* tecnic* che lavorano a tempo pieno (oltre il 44%) e con oltre 10 anni di esperienza (poco più del 42%): esattamente la tipologia di professionist* per i quali i CAT dovrebbero essere uno strumento irrinunciabile.

Più dell’87% dei partecipanti afferma di utilizzare almeno un CAT

Per oltre il 77% di questo campione si tratta di uno strumento “fondamentale”, il cui uso è frutto di una scelta autonoma e indipendente dalla richiesta della clientela (che spesso, lo sappiamo, è in realtà un’imposizione).

Anche il quadro che emerge dalla domanda successiva rimane confortante (!):

solo 40 partecipanti su 122 valutano negativamente il proprio livello di conoscenza dei CAT

72 ritengono di padroneggiare lo strumento, anche se a livelli variabili.

A proposito della diffusione dei singoli strumenti, ho volutamente impostato la risposta come libera; questo, anche se mi ha costretto a rielaborare ulteriormente i risultati, mi ha anche offerto (credo) una visione più completa.

Non sorprendentemente, SDL Trados Studio domina incontrastato

Ben il 40% del totale lo adotta come strumento unico, contro il 13% di utenti di memoQ, secondo strumento più usato. Ma il dato è in realtà ancora più elevato, perché il 17% delle risposte cita l’utilizzo di più strumenti (a volte nell’ordine della decina!), e tra queste Studio è praticamente sempre presente.
Seguono OmegaT (4,4%), DVX (3,7%), Matecat e Memsource (2,5%) e una serie di altri (Across, Smartling, Wordfast, Transit, CAT proprietari di clienti etc.). Alcune risposte, peraltro, denotano una certa confusione: qualcuno ha citato, come CAT, Google Translator Toolkit e Dragon Naturally Speaking (!). 

Diffusione dei singoli strumenti CAT

Per quanto riguarda le versioni, praticamente tutti coloro che usano memoQ hanno effettuato l’aggiornamento all’ultima versione, se non all’ultimissima release, mentre la stragrande maggioranza de* utenti di Studio continua ad affidarsi alla versione 2017. 
È un dato che va inserito nel suo contesto: il meccanismo di licenza di memoQ, rispetto a quello di Studio, favorisce l’aggiornamento; Studio 2019 è disponibile solo dalla fine di agosto di quest’anno; e una certa riluttanza ad aggiornare è più che normale, se si considera anche che quest’ultima versione non include novità particolarmente “emozionanti”, né per chi traduce né per * cliente/agenzia.  

E chi invece i CAT non li usa? Un “bel” 12,5% di partecipanti ritiene tout court che non siano utili alla propria attività.

Altrettanti, però, dichiarano di aver provato ad approcciare i CAT e di aver abbandonato il campo “per la disperazione”.
La maggioranza (41,6%) ritiene i CAT potenzialmente utili ma non sa bene da dove cominciare. E, infine, c’è un 20% abbondante che si ferma di fronte al fattore costo.

Conoscenze e desiderio di approfondimento

Qui le risposte sono decisamente polarizzate. Una maggioranza schiacciante (quasi il 69%) vorrebbe acquisire conoscenze avanzate e specifiche; all’altro estremo, un 20,5% di persone che ritengono sufficienti le proprie conoscenze attuali.
Sicuramente sia la domanda che la risposta sono troppo generiche e sarebbero a loro volta meritevoli di approfondimento; devo però ammettere che l’idea di un* professionista, in particolare nel nostro settore, che ritenga di essere “arrivat*” in termini di conoscenze, in qualsiasi ambito, mi lascia molto stupita.
Mi sembra anzitutto pericoloso; in particolare in relazione ai CAT, verso i quali molt* hanno un atteggiamento di rifiuto e dei quali non conoscono i vantaggi potenziali, ancora prima di sapere come ottenerli nello specifico.

Il problema, per come la vedo io almeno, non è che non sappiamo come usare i CAT: è che non sappiamo proprio cosa fanno, o cosa potrebbero fare per noi. 

La stessa reazione di perplessità, anche se per motivi diversi, la provo di fronte al 17% abbondante di chi “non utilizza” la MT e “non desidera approfondire l’argomento”. Forse, però, la vera sorpresa per qualcuno sarà l’oltre 45% di collegh* che utilizzano già la traduzione automatica (oltre a voler ampliare le proprie conoscenze al riguardo).

Rispetto ai motivi dai quali nasce il desiderio di approfondire le proprie conoscenze, spicca decisamente l’auto-miglioramento (più qualità, più produttività, ottimizzazione del flusso di lavoro…), rispetto alla necessità di soddisfare le richieste della clientela. E anche questo mi pare molto positivo.     

Veniamo alla formazione


Oltre il 60% di chi ha partecipato ha seguito corsi sui CAT; il 40% in presenza e di gruppo, il 39% circa da remoto.

Solo una minoranza risicata ha optato per corsi più personalizzati, con meno di cinque partecipanti (una soglia arbitraria, ma che mi sembrava sensata). 
La grande maggioranza (64%) di queste persone ha speso per i corsi seguiti un centinaio di euro al massimo: risposta assolutamente in linea con le precedenti, perché è chiaro che un webinar, o un corso di gruppo anche in presenza, non può costare cifre elevate.


I nodi vengono al pettine nella domanda successiva, relativa agli aspetti di questi corsi risultati più o meno soddisfacenti: la risposta era libera, ma come potete vedere i principali motivi di insoddisfazione riguardano la scarsa personalizzazione, il rapporto poco diretto con l’insegnante, la mancanza di approfondimento e il fatto che raramente si entra nel “vivo” del funzionamento pratico dello strumento. Per citare una risposta che mi pare rappresentativa: 

“Non mi soddisfa il fatto che se ne parli sempre in termini teorici e si scenda poco nel pratico e nello specifico. 
Mi piacerebbe venisse organizzato un corso online per imparare ad utilizzare davvero Trados, ad esempio. 
Meno fuffa, più utilità, insomma.”

Le ultime domande riguardano gli strumenti di QA

Se spesso si dice che la terminologia è la Cenerentola del nostro settore, forse andrebbero spese due parole anche a proposito del controllo qualità: ben il 25% di chi ha risposto a questo sondaggio sui CAT non ne fa uso, e quasi il 13% dichiara di non avere interesse ad approfondire l’argomento. Personalmente, applico da un po’ tre modalità di QA diverse: quella interna al CAT (che a volte diventano due: di memoQ E di Studio); Xbench; e una rilettura in Word. Posso darvi per certo che raramente si rivelano superflue.
Mi capirete, quindi, se vi dico che questo dato per me è sconvolgente (anche se sono disposta ad ammettere che forse può c’entrare il mio essere un po’ OCD). 

Tornando però alla formazione, mi pare emerga un quadro molto chiaro.

Esiste una domanda forte di formazione tecnica, pratica, personalizzata, approfondita, “utile”, che l’offerta esistente forse non soddisfa.

Evidentemente, un corso di gruppo (dove “di gruppo”, nelle situazioni reali, spesso significa 15/20 persone o più), magari online, che costa “da poche decine a un centinaio di euro”, non può soddisfare questo tipo di richieste: per motivi logistici (anzitutto, troppa disparità di livello tra i partecipanti), di tempo e di costi.

Per tenere un corso che risponda a queste esigenze:

  • bisogna conoscere davvero molto bene lo strumento. Banale? Non tanto: si tratta di usare il CAT per proporre soluzioni a problemi concreti e per fornire risposte a esigenze specifiche, insomma per personalizzare il corso, eventualmente anche al momento (!). Qualcosa di molto diverso dal far vedere una bella demo “controllata” su come si importa un pacchetto o come si crea un progetto. Per fare questo occorre conoscere perfettamente tutte le impostazioni, le configurazioni possibili, le funzionalità, le potenzialità dello strumento;
  • bisogna avere tempo a disposizione: per entrare nel dettaglio, ma anche per rispondere a domande e dubbi dei partecipanti. Due ore di seminario non possono evidentemente bastare;
  • competenza + tempo = costo. Che non è di poche decine di euro, e nemmeno di un centinaio. 

Quant* di noi, al di là delle dichiarazioni programmatiche, sono dispost* a investire seriamente (tempo e soldi) nella formazione relativa ai CAT?

Quante persone, al di là delle dichiarazioni programmatiche, sono seriamente convinte del valore del CAT per il proprio lavoro?
Apparentemente, poche

Da questo punto di vista, la mia esperienza conferma le risposte date al sondaggio. 

La stragrande maggioranza di chi mi chiede un preventivo per un corso lo rifiuta per motivi di costo e (in subordine) di impegno di tempo.

Si tratta di collegh* alle prime o primissime armi che si rendono conto di non disporre di conoscenze fondamentali; oppure di collegh* più esperti che realizzano di dover ottimizzare il proprio lavoro.

Chi è alle prime armi spesso ha le idee piuttosto confuse (ed è anche comprensibile): non ha idea di cosa sia una TM e vuole un corso per imparare a usare Studio, memoQ e magari qualcos’altro. Se tento di spiegare (contro il mio interesse) che sarebbe più opportuno partire da una panoramica generale, e poi capire quale strumento in particolare può essere quello giusto, nicchiano o spariscono; molte anche perché tendono a sopravvalutare nettamente le proprie conoscenze, e quindi hanno l’impressione che cerchi di vendere loro qualcosa che non serve.  
In generale, si aspettano costi da webinar di Proz (del resto la media è quella, non si può dare loro torto) e di fronte al mio preventivo rispondono di non poterselo permettere.  

Chi è più esperto è, ovviamente, anche più consapevole; ma la percentuale che rimane “stupita” di fronte alle mie tariffe è comunque elevata.

Tutto questo mi fa pensare anzitutto che, probabilmente, sono poco capace di comunicare il valore del mio prodotto (e ci sta).***
Ma, per quanto io possa essere abile nel “vendere” i miei corsi, sospetto che il vero problema sia a monte: nella percezione di valore degli strumenti CAT in generale; nella mancanza di consapevolezza, come dicevo più sopra, anzitutto rispetto a cosa possono fare e a quanto possono migliorare il nostro lavoro.

E perché dovrei investire tempo e denaro in uno strumento del quale non mi è chiara la reale utilità? 

Lo confermano le conversazioni con colleghi e colleghe e le loro domande, così come certe dichiarazioni che leggo in giro: a volte non è nemmeno ben chiara la distinzione tra CAT e MT, figuriamoci l’esistenza di funzioni “banali” come l’allineamento, la gestione automatica di elementi come numeri e date, la concordance
D’altro lato, quando ho provato a proporre corsi introduttivi agli strumenti, con una panoramica ad alto livello, a quel punto sì di gruppo (visto che non si entra necessariamente nel tecnico), e quindi a costi più accessibili… non ho riscosso alcun interesse. Sono evidentemente considerati “inutili”, non sufficientemente “pratici”: questo tipo di corsi funzionano, come dimostra anche la mia esperienza passata, quando vengono organizzati per grandi gruppi e possibilmente online, e quindi quando costano davvero poco. La via di mezzo che propongo io non funziona. 

Vogliamo il corso pratico, approfondito, personalizzato. Ma non vogliamo investire troppo per seguirlo. Non sappiamo bene cosa il CAT può fare per noi; ma non siamo disposti a spendere nemmeno cifre minime per scoprirlo

A questo punto è necessaria una precisazione doverosa: preferisco di gran lunga preparare 50 preventivi a vuoto e lavorare con 5 o 10 persone all’anno, ma motivate e convinte. È meglio per tutti: per me e per chi mi segue.
E non voglio assolutamente affermare che i corsi che tengo siano l’equivalente della penicillina per la formazione per la traduzione, e che chi non ritiene che valgano il costo e/o lo sforzo “sbagli”; né tanto meno mi permetto di fare i conti in tasca a nessuno. Ci mancherebbe. Ho il massimo rispetto (e gratitudine) per tutti coloro che si sono rivolti a me anche solo per chiedermi informazioni. 

Però (non per la prima volta) mi chiedo: non è che abbiamo veramente tante (troppe) pretese?
Vogliamo che il CAT ci risolva la vita facendo mille cose fighissime ma non dev’essere “complicato” e non deve “costare troppo”.
Vogliamo il corso pratico e approfondito ma poi “non ho tutte queste ore da dedicare”/”non ho tutti questi soldi da spendere”.
Vogliamo il cliente che ci paghi 25 centesimi a parola ma poi ci scappano gli errori di ortografia perché non usiamo nemmeno il correttore ortografico.
Vogliamo lavorare di meno e guadagnare di più ma siamo troppo pigr* anche solo per informarci sugli strumenti che ce lo consentirebbero. 
Vogliamo i pagamenti puntuali ma ci dimentichiamo di emettere le fatture, o sbagliamo, perché per farlo usiamo ancora Excel.
E naturalmente ci lamentiamo. Sempre-comunque-incessantemente.
Forse sotto l’albero di questo Natale, potremmo mettere un po’ di sana autocritica. No, io no, io non sbaglio mai, non lo sapevate? 😉

Per concludere: se volete valutare un corso di formazione con me, basta scrivermi!

*** L’altra alternativa, naturalmente, è che le mie tariffe siano fuori mercato. Beh, dipende sempre dal mercato… 😉 
Scherzi (!) a parte, e mi sembra importante precisarlo visto che di costi stiamo parlando, io ritengo siano adeguate per il valore di quello che offro; e le ho definite, chiaramente, in base a una serie di fattori, non ultimo il fatto che, detto grossolanamente, per quanto ami fare formazione non posso perderci (e del resto amo molto anche tradurre, ma mica lo faccio gratis. Anzi).
Il fatto che chi accetta i miei preventivi lo faccia senza battere ciglio mi fa pensare di essere sulla strada giusta. 
Come dice qualcuno che ne sa

“it’s too expensive,” rarely means, “we can’t afford it.” Often, it actually means, “it’s not worth it.” 

Che è, evidentemente, tutto un altro discorso.